In questi anni di esperienza didattica ci siamo più volte confrontati con le difficoltà di comunicare e di condividere in modo davvero efficace l’esperienza dei nostri percorsi di medici omeopati. Purtroppo i comuni eventi formativi presenti nel nostro territorio, siano essi corsi canonici a diverso indirizzo, siano seminari o laboratori, peccano tutti della impossibilità di lavorare alla presa del caso in modo “diretto”, di potere discutere “a caldo” e in piccoli gruppi ciò che si è visto, ciò che si pensa sia successo durante la consultazione omeopatica.

È ben noto che in Italia questo anello fondamentale della formazione omeopatica è mancante, mentre in molti altri paesi è ormai consolidata da anni la pratica di una formazione continua, prevalentemente fondata sulla supervisione clinica, sia per i colleghi omeopati che da poco hanno concluso il loro iter formativo, sia per i più “anziani”, che da anni praticano con successo la professione del medico omeopata a tempo pieno. Nel nostro paese una formazione che si completa anche attraverso incontri di supervisione e discussione clinica dal vivo esiste da anni per altri tipi di figure professionali, ma non sembra avere ancora sfiorato gli interessi e le necessità della maggioranza dei medici e tantomeno degli omeopati.
Il percorso formativo permanente, a cui stiamo lavorando mancava dunque di questo importante contributo, essenzialmente perché abbiamo ritenuto non essere ancora maturi i tempi per un proposta del genere.
Diversi anni orsono siamo partiti con un gruppo di studio clinico dal vivo nel mio precedente studio a Solignano, poi a Roma e poi a Bareggio. Sulla falsa riga delle esperienza fatte all’estero.
Questo pilastro della didattica mi sembra essere particolarmente importante alla luce del “Metodo della Complessità” che definisce e distingue l’approccio alla Medicina Omeopatica proprio della nostra scuola. Un approccio ragionato che pone al centro del lavoro omeopatico la relazione medico-paziente e l’analisi di cosa avviene nel campo terapeutico.
Penso che per buona parte dei colleghi che hanno dimostrato interesse al nostro lavoro sia ora “pensabile” allargare la propria formazione anche in questa direzione.
L’obiettivo principale di queste discussioni cliniche dal vivo è strutturare piccoli gruppi di studio che si incontrino, a cadenza regolare, e costituiscano importanti punti di riferimento per la pratica della Medicina Omeopatica, secondo l’approccio sistemico a cui stiamo lavorando da anni.
Questo studio è possibile per sua definizione solo in piccoli gruppi e si propone integrare il percorso di formazione e di perfezionamento che abbiamo già iniziato da una ventina di anni.
Questa formazione si articola in incontri bimestrali in cui affrontiamo diversi
aspetti del Metodo della Complessità e della formazione omeopatica.
La prima parte dell’incontro consiste nel seguire in circuito chiuso una paio di visite di nuovi pazienti e qualche follow-up. Segue la discussione collegiale del caso che termina con una mia sintesi sul progetto terapeutico.
In ogni incontro lavoreremo, quindi, sulla presa del caso, sulla analisi del campo terapeutico, sulla scelta e sulla valutazione gerarchica dei sintomi raccolti, sul possibile inquadramento del rimedio nelle famiglie che abbiamo studiato e di conseguenza sulla diagnosi differenziale, sulla materia medica dei rimedi proponibili, per concludere con il progetto terapeutico da sottoporre al paziente.
Per mia esperienza maturata in questi anni di supervisioni in Italia e all’estero, penso che questa modalità di lavoro sia la più redditizia in termini di qualità della discussione del caso, ma soprattutto per la possibilità di valutare diverse tipologie di casi clinici: da quelli risolti a quelli dubbi.
Come ben sapete qualsiasi lavoro di gruppo funziona nella misura dell’impegno dei singoli componenti in termini di presenza, di puntualità e di partecipazione. Se ciò è valido per qualsiasi gruppo lo è in particolar modo per i gruppi di supervisione, nei quali i colleghi sono chiamati ad un ruolo attivo nell’analisi e nella discussione dei casi. Queste esperienze coinvolgono i partecipanti sia sul piano professionale che su quello emotivo. A mio avviso questo coinvolgimento, auspicabilissimo, deve essere sostenuto nel migliore dei modi da un piccolo gruppo, caratterizzato da presenze ben disposte a collaborare. Per evitare quindi un via vai dei partecipanti, del tutto improduttivo, non è previsto un rimborso per chi decidesse di ritirarsi dal gruppo né l’inserimento di nuovi partecipanti se non previa approvazione del gruppo stesso.
Valuterò personalmente la partecipazione di ogni collega, in modo coerente con la preparazione media e gli obiettivi di ogni gruppo.

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